Tutta Italia è al corrente delle gravi difficoltà incontrate dai pazienti di una nota catena di cliniche odontoiatriche con sedi in tutta la penisola che, dopo aver incassato l’intero corrispettivo in anticipo, ha chiuso i battenti ed è fallita, senza fornire la prestazione promessa o, nella migliore delle ipotesi, non fornendola integralmente.

Oltre al danno la beffa, visto che gli sfortunati clienti, se non hanno già pagato tutto di tasca loro, si trovano oggi tenuti a dover comunque pagare le rate ad una finanziaria.

Al di là dei diritti di natura civilistica in capo alle persone lese (di cui REGIALEX si è occupata), ci domandiamo se sia possibile ipotizzare anche una responsabilità di tipo penale.

Le fattispecie di reato che il fatto richiama subito alla mente sono quelle previste dagli artt. 640 e 641 c. p..

Certamente se il proponente la prestazione, avesse contratto, dissimulando il proprio stato di dissesto e con il chiaro intento di non adempiere, ci troveremmo di fronte ad un caso scolastico di insolvenza fraudolenta.

Sarebbe importante comprendere però se, al momento dell’accordo, la società si trovasse già in stato di decozione e se chi rappresentava l’impresa ne fosse stato al corrente, non essendo rilevante ai fini del perfezionamento del reato, la insolvenza sopravvenuta.

Il reato di truffa è ravvisabile invece ove il soggetto agente, usando artifizi o raggiri, induca in errore la parte offesa, arrecando alla stessa un danno al quale corrisponda pari profitto per l’autore.

Sarebbe quindi integrato il reato di cui all’art. 640 c. p. e non quello di cui al 641 c. p. ove lo stato di insolvenza non fosse stato semplicemente nascosto, ma fosse stato fatto oggetto di veri e propri artifizi o raggiri.

Quanto alla cd. truffa contrattuale in particolare, occorre evidenziare che la giurisprudenza richiede che l’autore abbia posto in essere un comportamento idoneo ad incidere in modo artificioso sul processo formativo della volontà della controparte: dovrà quindi essere sottoposta a particolare attenzione la condotta tenuta in concreto, al fine di ricercare un’eventuale messa in scena e/o un comportamento menzognero, finalizzati ad indurre il paziente a sottoscrivere un impegno che diversamente non avrebbe sottoscritto.

Una riflessione a parte invece va fatta sulla modalità di pagamento che avveniva molto frequentemente attraverso finanziarie convenzionate: apparentemente conveniente per il cliente, in grado di pagare “in comode rate”; certamente conveniente per la clinica, che così incassava, immediatamente e in anticipo rispetto alla prestazione promessa, l’intero corrispettivo, anche da parte dei soggetti con le risorse più limitate.

Infatti è proprio questa la modalità che si è rivelata fatale per il consumatore e che ha determinato la mancanza di difesa (l’eccezione di inadempimento), di fronte all’improvvisa serrata.

Ma, per quanto non si possa non prendere atto di una strategia commerciale “aggressiva”, sarebbe superficiale e frettoloso giungere a riconoscere per ciò stesso l’esistenza del dolo richiesto.

Rilevante infine il fatto che la chiusura imprevista abbia determinato, allo stato, anche l’impossibilità di consegna della cartella clinica, necessaria per continuare le cure da altro professionista.

Il mancato tempestivo rilascio della copia integra il delitto di cui all’art. 328 comma 1 c.p., in quanto consistente in un rifiuto di un atto pubblico la cui completa e regolare compilazione, sempre funzionale a ragioni di sanità, è rimessa in via definitiva e ufficiale al responsabile di reparto, in qualità di pubblico ufficiale.

Il principio è, in generale, pacificamente estensibile, mutatis mutandis, anche alla clinica privata.

Il caso è attualissimo e i fatti sono in continuo divenire …