Ho avuto l’onore ed il piacere di partecipare sabato scorso all’incontro “Donna e carcere” organizzato dall’Osservatorio Carcere della Camera Penale di Lucca, di cui faccio parte, presso la Casa Circondariale S. Giorgio.
Un momento di riflessione fondamentale per accendere i riflettori sul carcere così da aprirlo alla società civile per indurla a spogliarsi di quell’abito mentale per cui si tratterebbe un luogo di oblio dove le persone si gettano senza alcuna possibilità di recuperarle.
Molti gli interventi, mirati, efficaci, dai quali sono emersi dati significativi: per prima cosa la prospettiva del superamento del carcere per le madri per poi da lì, auspicare una “rivoluzione” cha coinvolga tutti i detenuti.
Una frase delle detenute del carcere di Lecce ha aperto i lavori “il carcere non è per le donne”: dinanzi ad una condizione di minoranza numerica sul totale dei detenuti negli istituti penitenziari, poco più del 4 per cento, le donne detenute si trovano in una condizione di assoluta marginalità.
Ciò nonostante la redazione di specifici precetti, le regole di Bangkok adottate dall’ONU nel 2010, mirate a delineare un’esecuzione penale che sia capace di adattarsi alle donne ed alle loro esigenze specifiche, che abbia un nuovo volto, da meramente afflittiva a mirata sui servizi e sulla cura della persona.
Pena quindi come opportunità, attraverso un’adeguata formazione, di realizzare un’indipendenza economica per la donna che spesso rimane l’unico referente del suo nucleo familiare: sul punto a livello europeo la tendenza non è buona (come emerge da uno studio del 2017 sull’ applicazione delle regole di Bangkok) poiché la formazione migliore è riservata agli uomini, mentre le donne sono rilegate ad attività tradizionalmente loro atttribuite come pulizia o cucito.
Donna in carcere implica molto spesso la presenza di minori e la necessità di gestire il rapporto madre figli: sebbene con la detenzione domiciliare speciale molto si è fatto per le madri, certamente interessante è la legge 62/2011 che ha introdotto le case famiglia protette, luogo non solo fisico ma di progetti tesi al reinserimento delle donne nella società ed altresì, luogo per porre rimedio ai cosiddetti “bambini galeotti”.
Sul punto tuttavia, si è sottolineato come lo strumento debba essere pensato anche per i padri, una figura abbastanza bistrattata dall’ordinamento penitenziario.
Ad oggi le case sono due, una a Milano ed una a Roma mentre la legge di bilancio 2021/2023 ha previsto un fondo già ripartito tra Regioni da destinare alla creazione di circa 10 strutture che potrebbero assorbire tutta la popolazione carceraria femminile.
Si è poi affrontato l’aspetto dell’ affettività connesso inevitabilmente alla sessualità, fondamentale per la crescita e per evitare conseguenze desocializzanti, che ben può essere conciliato con le esigenze di sicurezza.
Un’iniziativa lodevole è arrivata da Renzo Piano che ha ideato e realizzato MaMa, una casa degli affetti per le mamme ed i bambini, un modo per ritrovare una sorta di normalità e fare prove di futuro.
Per concludere, perché davvero molti sarebbero i temi, gli spunti e le prospettive, i relatori sono sembrati concordi nell’ipotizzare il superamento del carcere come fulcro della dinamica punitiva benché “il carcere sia la detestabile soluzione di cui non si può fare a meno”. BOZZA LOCANDINA EVENTO 04.02.2023